C’è un quadro nell’hotel dove lavoro, qua a Kulusuk, in Groenlandia, che rappresenta un’Inuit seduta davanti alla sua tenda contemplando un sole che tramonta sul mare e sugli icebergs della sua terra. La prima volta che avevo visto questo quadro non gli avevo dato molto importanza, né tantomeno attenzione. Naja, la mia amica Groenlandese, il primo giorno in cui ci eravamo incontrate, mi aveva detto che quel quadro è il suo pezzo d’arte preferito al mondo. Ho guardato quel quadro con occhi indifferenti a lungo, e nel frattempo ho fatto esperienza di questa terra e della sua gente.
Ho iniziato a scoprire la sua gente pacifica, l’amore che ha per il suo mondo, quel sedersi al sole a contemplarlo per ore nelle infinite giornate estive di giugno, quando il sole non cede mai il passo nè alla luna nè alle stelle, ma si appropria del cielo artico e lo fa suo quasi ad illudersi che sia per sempre; ho imparato ad ascoltare il loro tranquillo tono di voce, che sembrano avere in comune con i nativi di continenti più lontani, quasi a non disturbare il mondo circostante, a confondersi con esso, per non essere sopraffatti nella lunga lotta per la sopravvivenza; ho iniziato pian piano a capirli quando parlano così sommessamente, e ad abituarmi a quella lingua così piena di suoni sconosciuti al nostro udito occidentalizzato. Ho iniziato a capirne i movimenti lenti, tipici delle popolazioni antiche che vivono senza tempo, perché il nostro tempo e il nostro stress, la fretta e l’angoscia, non gli appartengono; ho imparato a rispettare il loro ritmo e a dargli un significato.
Ho imparato ad ascoltare la loro musica, quella “drum dance” che molto ha in comune, e in maniera intensa, con il ritmo della musica africana, a queste latitudini completamente sconosciuta, a sentire vibrare il cuore dentro ogni volta che il tamburello fatto di pelle di orso polare del cantastorie intona un canto lontano, di cui pure non comprendo le parole, ma che parla di avventure e pericoli di questa terra che si percepiscono dagli occhi e dai suoi movimenti, di orsi polari che uccidono e della caccia alle foche per sopravvivere, della vita dura di questo popolo, esposto alle intemperie più selvagge che il nostro pianeta può offrire, e nonostante questo, del loro amore per questa terra, della consapevolezza di vivere in uno dei posti più belli del mondo, della loro consapevolezza di appartenere a queste lande desolate e di non aver mai pensato di abbandonarle, di amore, amicizia e lealtà, della loro vita, di storie ed emozioni come le nostre e che a queste latitudini, anche loro hanno in comune con il resto del genere umano.
Non è una musica melodica la loro. E’ solo un ritmo, dettato dal tamburo donatogli dai loro avi. E’ un ritmo che scandisce la loro vita e le stagioni, le emozioni. E’ un ritmo vitale, di coraggio, di storie. In tempi passati gli inuit risolvevano dispute personali con un duello a suon di tamburelli, e questo la dice lunga sul grado di civiltà e di pacifismo di questo popolo, che forse proprio per questo è riuscito a sopravvivere e ad arrivare fino a noi.
Il rapporto che gli inuit hanno con la Natura e gli spiriti e le creature che la abitano, con i loro avi, con le loro storie è un rapporto che li lega alla terra e al paesaggio di cui fanno parte. La Natura non è sempre benigna da queste parti. E la si teme e rispetta come si rispetta un nemico da cui dipende la propria sopravvivenza.
Il loro spirito non muore, ma rinasce nel corpo di un altro che nasce a poco distanza dalla morte di uno di loro e a cui la famiglia donerà il medesimo nome. E’ anche per questo che le loro tombe non hanno nome. Quello che muore è il corpo, che merita di riposare vicino all’oceano, vicino all’acqua che dono loro vita e cibo per sopravvivere. E il nuovo nato rimarrà legato alla famiglia dello spirito da cui ha preso il nome per sempre.
Questo, inutile dirlo, rafforza il senso di comunità e di appartenenza di un popolo di sole 54000 anime che vive qua da migliaia di anni. Il senso di condivisione con l’altro che questo popolo ha, è qualcosa che ho visto solo nelle culture africane. Se si uccide una foca, una balena, un delfino o addirittura un orso polare, nel villaggio è una festa, perchè c’è cibo per tutta la comunità. Gli abitanti del villaggio non devono pagare per avere un pezzo di carne. Gli viene concesso, perché si è amici, parenti, conoscenti, perché si vive nello stesso posto, perché ci si aiuta e si condivide la fame e per questo anche il cibo. Persino ai bambini viene donato un pezzo dell’animale catturato, che sia la pelle del delfino o il fegato di foca, ma tutti, fin da piccoli, imparano che, fin quando ci sarà qualcuno che va a caccia, fin quando ci sarà il ghiaccio, fin quando ci saranno gli orsi polari e le foche, fin quando esisterà l’Artico, ci sarà sempre cibo per tutti.
E ci sarà la vita, quella vita ancora semplice in un villaggio come Kulusuk, che spesso la stessa Groenlandia sembra avvolgere con la sua nebbia folta per nasconderlo agli occhi del mondo e farlo vivere per sempre. Una vita semplice e dura, con nessun lusso, priva persino di acqua corrente nelle case, con una casa condivisa, al centro del villaggio, dove ci si va a fare la doccia e a lavare i panni, un posto che, in quei giorni tragici di pieno inverno, con il vento forte e la neve alta, deve essere una missione impossibile da raggiungere per molti di loro. E’ per questo che poi, quando esce il sole, si siedono sulle loro panchine, disseminate ovunque nel villaggio, per stare in silenzio e ammirare il paesaggio, ammirare quel gran mistero e privilegio di cui fanno misteriosamente parte.
Questo è ciò che finora ho imparato di questa gente. E in questi giorni, quel quadro che fino ad ieri non mi diceva niente, inizia ora a raccontarmi storie di un popolo che sto iniziando non solo a conoscere ma ad amare. Ero venuta qua per questo, d’altronde. Per dare una possibilità alla gente di Groenlandia di stupirmi e conquistarmi. Ora quel quadro ha cambiato volto e inizia a dirmi tante cose. E più lo guardo e più penso sia stupendo. Quel quadro descrive lo stupore con cui ogni mattina apro la finestra della mia stanza e guardo il mondo che mi circonda quassù e quello con cui contemplo la notte che non esiste prima di andare a dormire la sera. Quel quadro descrive l’essenza della vita, davanti ad un sole che tramonta…
6 comments
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Semplicemente da brividi… Credo che tu stia vivendo uno dei miei sogni e non posso che essere felice per te!!!
Grazie Simona!
Meraviglioso! Emozioni incredibili quelle che hai vissuto, complimenti!
Grazie Marta 🙂
Meraviglioso. Sei ancora lì?
Ciao! No, ci sono stata tutta l’estate scorsa. Se ti servono consigli scrivimi e sarò lieta di aiutarti!